agonia english v3 |
Agonia.Net | Policy | Mission | Contact | Participate | ||||
Article Communities Contest Essay Multimedia Personals Poetry Press Prose _QUOTE Screenplay Special | ||||||
|
||||||
agonia Recommended Reading
■ No risks
Romanian Spell-Checker Contact |
- - -
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 2009-12-12 | [This text should be read in italiano] |
Fleba il fenicio morto da due settimane
Dimenticò il grido dei gabbiani E la profonda risacca del mare E il profitto e la perdita…… Pre-ambolo Recitato e poi cantato E via di seguito come se nulla fosse accorso perché tutto è vagamente astratto, poco percepibile e maledettamente difficile da comprendere, portar con sé assimilare al senso del me che vaga nello spazio illimitato dove ogni cosa può esistere, realizzare il senso stesso dell’esistenza astratta concretizzare il fumoso verificarsi dell’accadente poiché l’accaduto è dimostrato essere invalutato e tutto brulica di dolore, selvaggio dolore che adempie il sacrificio che è risveglio dell’esitazione del vago realizzarsi dell’evento, poiché è la carne che si chiede, si domanda l’immolarsi, gettarsi contro i vetri e tagliuzzarsi, perdere e sangue e carne e simile a sangue e vino e abbeverare il sudario (la e congiunge, non lascia l’attesa ma tutto riporta al principio, perché tutto si collega, s’unisce all’inizio e al suo ritorno): ci vuol coraggio a decifrare l’assemblaggio musica e parole e odore astratto vago simulare dell’essere, tutto di seguito, senza respiro, sudorazione dell’occhio pazzo, inquieto, senza pace m’immergo nel me, stessa soluzione immobile recepisco l’oggetto soggettivato, modulo la voce e m’inietto il canto. E rimase l’ombra dell’esistito, come il ramo è il ricordo della gemma e del frutto e l’ombra della foglia veleggia al respiro del vento, immobile l’attesa soppesa le parole e il bruciore di stomaco. Prologo Inquieto, guido i miei passi altrove sorreggo emisferi in delirio, non vedente vago, impaludato nell'ossessione della prima volta, eternamente, senza filo di speranza. Io trafitto infestato da minuscoli ranuncoli aggregati alla minaccia d'umana ignominia. In sequenza il giorno, già sceso alle spalle della turpitudine, declina l'invito e scende a capofitto in questa piana desolata, senza senso. Sorreggo l'assalto del vuoto, come anima in peste percepisco l'illusione del tempo, valutando convenienze e quote, inserendo calcoli infinitesimali sulle orme dei brontosauri impresse prima che l'ora del getzemani lasciasse orti e ulivi privi di seme, ho ingerito lo sputo senza concezione e, sconvolto dall'immenso, senza speranza assaporo l'ostia, privo d'assoluzione ingoio il vuoto. Poichè noi finti attorcigliati all'irreale monotonia televisiva, arroccati a fandonie sulla necessità del balsamo all'olio di fibre di pelo di fica marcita prima che la calvizie disossifichi il cranio, noi finti gestiamo avanzi di illusioni, prestabilite marce nuziali e morti accidentali. Fintantoché il viadotto al limbo estremo sarà saturo d'aborti di gas di scarico e gli angeli caduti già bramosi di donne vi solcheranno l'immutato scoscendere del tempo, gremita la sala d'attesa sbuffa fumo e noia. Fermo il resto del tempo, obliquo il senso dell'essere disfatto come già la vergogna e l'ammasso del fascio di grano. L'elefante afgano seduto sul palmo della mano spalancando l'orecchio destro e il pube dell'emisfero orientale soffiò polvere di petali sfioriti. scena I coro Con voce serena la pacata signora introduce la gestione del Sé. Piove e l'acqua germina incostanti sublimazioni. Sono cieco e mi muovo tastoni, nulla si è infilato, ad ora, nell'occhio morto, forse per passione dell'atto. In me, a volte, lo stupore del silenzio. I° voce femminile Nel vago errare della morte, nella catena di montaggio, una vite arrugginita, lubrificata, impietrita nel volgere del destino, si è scontrata con le dita un bollore rosso (sangue raffermo) ubriaco di forza mi ha dilaniato. Le finalità compiute si dissolvono, nel limbo pretemporale i cicli si estinguono. coro Inserita nel ritmo del tempo di traino la monetina e la tazzina di caffè: inserire espiare, attendere, distogliere lo sguardo dalle tue cosce prima che lo statico spruzzo di spuma irriti la pelle del portafogli. Esperire le forme e i risultati. Ho male ai piedi e le braccia molli, genuflesso mi piego dinananzi il chiarore lunare, fisso nel mio occhio cieco un lume quel senso di pietoso interesse dell'oscurità che è luce spenta. II° voce maschile Quando il tamburo smise il battito caddero i remi, la nave filava sull'onda silenziosa come una farfalla, schiuso il bozzolo del verme filiforme ed ocra. M'alzo dal fiore, purifico il nulla, impollino le fibre dell'aria intatte, mietute nello spazio lubricamente vuoto, intorno a me pullulare di ragioni: enneagramma, grafica esperienziale Anch'esso scivoloso il battito d'ali dell'aquila squassa il cielo quieto: schiaccia il tappeto di nubi sull'onda del ruscello e s'immerge a risucchiare il vento gelido nell'immenso spazio senza fine. La mia mano si strugge in cerca di te nel silenzio della pelle vellutata e delle tue labbra rosse. Siediti qui, anima gemella, e scruta quest'orizzonte fin dove l'occhio combatte con l'infinito, raccogli la polvere degli anni e gettala alle spalle e nel castello argentato dove i balli sono cessati e la musica vive di echi riposeremo i sensi pacati. Siediti qui, anima mia, ora che il sole ci scalda le spalle e il calore invade tutto il corpo, ora che le ore si sono fermate ad assaporare le luci del tramonto scena II Giovane faraone ed un teschio Il tuo silenzio mi accusa e la vertigine dell'orizzonte di questo immenso cielo, di questo nulla, del rumore della macchina da traino dei circuiti elettrici. E il tuo mutismo quando a casa sgranchisco le ossa e allungo le gambe sul tappeto. Taci scheletro, taci, le tue ossa attaccate con lo sputo, la tua voce alitata con lo sputo, taci. Sono stanco del rabbrividire dell'osso nudo e dell'indifferenza dell'occhio cavo. Ora che le parole non hanno più valore ora che tutto è perso nell'ignominia dei fatti, taci e raccogli gli spigoli di cielo superstiti, in questo silenzio che è padre e madre del suono inespresso, di come modulo la voce a portare ingiurie al tuo domani. Bevi, cara, bevi questo è il calice che ti hanno dato, insozza le budella col vino, quello che ti hanno dato e lava le dita con l'acqua che ti hanno data. Vieni, cara, vieni ci toglieranno l'affitto e ci daranno nuove regole condominiali, vieni davanti la tele. Visioni occhi chiusi iniettano memorie fotografiche, silenzio, il progresso, in proporzione al suicidio del capofamiglia annienta l'evoluzione della terra la luna si ciba di ritmi alienati. II° voce maschile Affìdà ti al vento come un sospiro alitato nel silenzio di questa invasione (percependo l'inizio la fine sorride all'altro capo del telefono) Faranone morto Un attimo ancora, voglio riempire l'occhio di luce, così tenue all'incedere del giorno. II° voce maschile Un placido bagliore invade la pupilla e nella successione delle immagini caricherò la pistola a salve, scuotendo visioni, ricordi appisolati nella trincea dell'occhio squassato. Con un bacio voluttuoso sfigurerò la maschera del fiore I° voce femminile senza interruzione e l'idea priva del petalo, assisa all'ombra del melo s'immergerà nel cielo stellato. Faraone morto Dove sono io ora? Quale legge è in Me? Son vissuto fra un angolo del bagno e l'anticamera del ripostiglio: sfibrato, tatticamente buttato fuori, con un terribile mal di denti, ingurgitando tessuti cerebrali e muco rapito al naso mediante buona aspirazione e coraggio, quando anche il fazzoletto non ne vuol sapere di quel che passa in testa. coro Mio padre in guerra, nel quarantadue nella pigrizia del tempo andato, insollecitato, visitò teschi del passato. Per cause in corso d'accertamento brulicò come raffiche di mitra, fra quelli dei cinquemila che tornarono (tre o sette ufficiali, duecentonovanta fra sottoufficiali e soldati) c'era lui pure. Fu medaglia d'argento e croce di guerra morto di cancro al polmone destro tirò dritto fin dove l'elica del motore incenerito taglia la notte. I° voce femminile In infelice stato di decomposizione un cranio irripetibile sbuffava contrariato alla luna: "Ti parlo come la lama di fuoco che incendia questo secolo ormai alla fine." scena III In realtà la testa del cavallo sacrificale è l'aurora, l'occhio è il sole, il respiro è il vento, la bocca spalancata è il fuoco universale, il corpo è l'anno. Il dorso del cavallo sacrificale è il cielo, il ventre è l'atmosfera, l'inguine è la terra, i fianchi sono i punti cardinali, i lombi sono i punti intermedi, le membra sono le stagioni, le articolazioni sono i mesi e le quindicine, i medi sono i giorni e le notti, le ossa sono le costellazioni, le carni sono le nubi.... (1) Quando lo svegliato scese al fiume per rinfrescare il viso, udì, ai margini della foresta, una tigre sospirare. Allora il Maestro, colpito da grande amore per il triste superbo felino, si avvicinò all'animale e gli chiese da quale pensiero fosse generata tanta inquietudine. La tigre, quasi singhiozzando, lamentò la sua disabitudine al digiuno e contò i giorni da che non riusciva a raggiun- gere un cerbiatto per cibarsene. Il Buddah si offrì al felino malgrado anche lui praticasse il digiuno. (2) Tu ci hai nutrito di forte cibo per uomini e di vigorose sentenze: non permettere che, come fine del pasto, i molli spiriti femminei ci assalgano. Resta con noi, Zarathustra, qui è molta nascosta miseria che vuol parlare, molta sera, molta nube, molta aria inta- fanita! Così parlò il viandante ombra di Zarathustra, poi prese l'arpa del vecchio mago e, con una specie di ruggito iniziò a cantare. Guai a colui che cela deserti dentro sè! Il deserto cresce. (3) Giovane faraone Incredulo sento l'ammasso dei secoli, ho un mantello che mi copre dal freddo della sera, rabbrividisco, tutta l'amarezza della solitudine silenziosa mi grava sul centro del cuore. Resto appresso al melo, fra i rami quasi spogli filtra la luce lunare. Faraone morto Figlio, figlio, in questa siepe trattenuto dalle radici del melo, m'interro. Un lombrico percorre la mia gamba destra e s'immerge nella cenere dei tempi. Ricorda il latrato dei cani tienili lontani dall'albero piantato. Giovane faraone Un teschio squassato, il filtro delle acque. Nel seno profondo sono posate le tue azioni Ciò da cui vengo, ciò che sono, da cui la mia natura silvestre, il talamo, il calamaio, e l'inchiostro sporco di sangue e il quaderno a righe grandi, a rigoni, per lo strizzacervelli prima dello zompo dal quarto piano, l'attimo fugace del non ricordo rimane a esaltare il nulla che siamo. scena IV coro Percorriamo ricordi, sfogliamo aghi di pino (i fiori secchi rimangono attaccati alle dita) mastichiamo gomma americana e facciamo la fila al bagno del bar delle fiche arruffate. Il fuoco convinto dell'arsura del legno corrotto, impiegò secoli prima d'intromettersi nell'ospizio di salme appesantite da cibo avariato. La frase travolta dal sogno della luna s'intrufola fra i peli delle ascelle, e asperge il tuo profumo sulle mie natiche. Imbevuto di te mi lascio andare alla legge della ricreazione. Sottoterra il tuo scheletro scritturato per il film americano, sarà schiantato in prima visione, chi gioirà per la piramide distrutta, ora che il labirinto è anoressico, il toro lamenta scarsa attenzione e tramite appelli televisivi apre un conto postale per mucche pazze e orfane. Faraone morto Tu che porti le tue lacrime alla mia tomba, tu mi sei salutare come il ritmo della pioggia e il canto dei grilli all'imbrunire. Giovane faraone Sotto questo sole cocente sfoglio i petali del fiore fino alla promessa d'amore. La sabbia soffiata via percorre miglia e miglia di luce solare. conclusione Ho appoggiato il capo sugli incubi andati, col preservativo resta in mano il segnale del tempo in forse. Accarezzo il pube della creatura che accompagna le mie indecisioni. Fuori la tempesta sofferta come la parola che dipinge il ritratto delle mani. Con gesti delicati le dita percorrono i tuoi fianchi e si gettano nell'oasi dell'amore; non mi resta altro: il sapore della pelle e delle tue effusioni, il brivido delle tue labbra. I tuoi lunghi capelli mi rigano il viso accarezzano le guance e si perdono nei pensieri. Guardando fuori dalla finestra in calore l'ossessione del tutto. Zero metafisico: somma esperienziale, dal tu al me l'immagine si ribalta Quanti frammenti del me cita la tua immagine! Rispecchio il colore dei tuoi occhi. Zero metafisico, una parentesi un preludio al nulla, tutto vomitato di parole, ti incuto timore vagando alla ricerca dell'orsa mentre la foca monaca si masturba pigiando la vagina alle pareti della roccia rossa. Nei tuoi occhi, incantato, un coriandolo del carnevale trascorso, tutto resta in questo mondo, nulla viene lasciato al caso, nemmeno il bacio che mi hai dato vincendo lo sguardo dei passanti e lo sputo dell'ultimo alcoolizzato appena uscito dall'ombra. epilogo Rendo grazie alle forze celesti, e a questa calda piana che esalta i profumi della terra quando il cielo la bagna. Scendo come pioggia dorata ad annusare i tuoi nascondigli dove i vermi intossicati rifugiano le loro lacrime. Spegniti e lascia il fumo salire come una preghiera dimenticata, evanescente, persa nella profonda vastità dello spazio. Celate ai miei occhi, percepii il profumo delle viole e le tue mani rapirono i miei pensieri. Struggenti note mi percuotono, nell'immensità di questa stanza perdo la cognizione del tempo. Fine |
index
|
||||||||
Home of Literature, Poetry and Culture. Write and enjoy articles, essays, prose, classic poetry and contests. | |||||||||
Reproduction of any materials without our permission is strictly prohibited.
Copyright 1999-2003. Agonia.Net
E-mail | Privacy and publication policy