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- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - 2011-11-11 | [This text should be read in italiano] |
Ombre allungate,
forme stilizzate, l’altare frastornato dal ritmo, ossessione, un misto di smarrimento e lucida sensazione dell’essere profondo, illuso, la maggior parte delle relazioni interpersonali si basano sull’illusione e sull’azione meccanica, sulla compensazione fra pieno e vuoto. Si crede di comprendere e di fare un buon affare quando la lingua si incaglia nel dente cariato e il mozzicone di sigaretta geme, fumicolando nella pozzanghera..... Lo spaventapasseri, attorniato dai rimorsi, mette le mani sui tuoi seni e languido scivola via. Squadrando l’area interessata al nuovo boom edilizio, caccio cinghiali, mormoro alla luna gemente ed al cielo onniscente che ho giusto il tempo per spirare, sparire, ritornare all’atto primordiale, interrompere il volo sentire il calore della tua pelle. L’esperienza sessuale è un’esperienza termodinamica: spremuto dalla mutazione del flusso calorico provocata dalla tua visione nello spasimo ventrale. Pigiare la tua pelle e la tua carne soda rinforza i muscoli delle braccia e allarga le spalle, e aumenta la vista barricando le congetture psicoumorali nel piagnisteo delle comari assiderate. Il cuore interrompe il silenzio delle vene, inturgidito al pensiero della tua bocca e del sentiero percorso quando il grano appena colto rifrange l’odore del pane il mio palato esulta per il fiore colto maturato fra le dita. L’ebrezza dell’agnello sacrificale: la polvere da sparo disillusa, riempie del suo odore lo spazio incluso, mi entra fin nello stomaco, mi riempie, sazio sussulto, un airone sposta l’ala e vira, lo sguardo si persuade del nulla e dell’immensa disperazione della nube bianca appiccata al cielo azzurro con una corda di sole irrimediabilmente lontano. In evento immobile io solo, in evento immobile, spostato dalle rughe sovrascritte sulle lancette dell’orologio a cucù... Aprile non c’è più, generando lillà dalla terra morta, nel pozzo dell’ogniddì, un pizzico di sangue traslato nell’oblìo del mercato del venerdì e uova di pipistrello, raccattate nella notte dell’apocalisse di Luna, Luna a metà , eclissata, l’altra metà , dietro le dita giunte. Un lupo mentecatto, a brandelli, col dente cariato e mai disinfettato, scivola dietro l’angolo del baratro del giorno appresso, veicolando immagini siderali la Luna sposta l’occhio orbo sui miei pensieri. Maga, stracciatella di uova di topo muschiato, ornitorinco assuefatto all’allattamento, in amalgama perfetta il tuo sussulto: un nulla nell’estremo arbitrario riflusso scenico. Gioco a parole statiche, forme razionalizzate perfettamente equidistanti dalla curvatura dell’ellisse. Iperboreo, pigmeo assorto. Scruto Intendo Conto La ripetizione Circostanziata Dell’immenso E poi............. Influsso scenico pastorale ecumenico La nuova conformazione del naso Nella razza bianca, arii, indoeuropei, stravaccati, confusi, gestiti nel timore dell’amplesso anale, coito vaginale, l’uomo senza ombelico partorito dal grembo del nulla, al nulla rivolto con estenuante pianto; irredimibile l’avvento del salmone marinato tuffato nell’oblio dell’avversa corrente.Gutturalmente lo gnomo si siede sul fiore reciso spara consonanti a raffica... assuefatto all’amoralità politica avvedutosi della goccia di sangue nell’occhio destro del pollo fritto,il fico d’india si ficca un ago in tasca, e la radice del piede, enigmaticamente, si pianta in asso. Ceduta la linea del metrò al robivecchi, una gallina svolazza nell’aia della cooperativa dei consumatori delle mistiche celesti, refrattaria al forno e alla patata spellata, s’interessa di cemento armato sentenziando rovine epocali. Un bruco risucchia la mia saliva, è strano e puzzoso il mondo dello spazzino, si deforma di linee nauseanti, rivoltante con un profondo sapore di sudicio. Venni in vita prima che le acqua gelassero, scegliendo la foglia e il tronco, brandendo ramoscelli d’ulivo e segatura, trucioli di nulla, le azioni depauperano ciò che non è. Il solco si lamenta Quando il piede Scombina le zolle, in verità su questa graticola son passati enormi e grassi animali da pascolo. Mi han dato un magico unguento, la pelle si rigenera sotto quest’olio prezioso. Quando ti ho abbracciata e il selenzio, inaspettatamente, bloccò le parole in gola, risputai gli anni passati a mordicchiare il bordo di questo mondo. Affannato, soddisfatto dell’ampleso, mi rigirai fra le lenzuola sudate e l’unguento del miracolo mi è colato in testa fra i capelli persi e ciò che resta dell’idea iniziale quando non ancora nata la pillola girava attorno il vuoto mentale. Un buco nell’incudine il fesso colato solidificato inesaurito, sparso, fesso spaziale, gettato nell’orbita della spada lucente, quando il vicolo si avvende di luminarie appisolate. E’ un brutto momento per lo spazzino abbruttito, si sente nauseato dall’inquietudine e dal silenzio metafisico della spazzatura. Un vaso di porcellana rotto mi ha tagliato il naso, il sangue gocciolato rappreso sul dito sudato appiccicato al nulla del vaso. Interrotto il silenzio metafisico dal muggito del cielo terso, mi barcameno sotto la luce del lampione, la pioggia placa questo inferno. Mi perdo fra le carte stracciate e i vagiti dei bimbi scordati, le volute delle nubi nel cielo disegnano il mio nome, scarico di dosso il pessimo gusto d’usato, lavato, ben pettinato, mi inquieto quando il passante goccia sudiciume ed equazioni irrosolte. Spudorato, senza tema di smentita, me ne frego del salasso ammortizzato. Ho lucidato scarpe e dozzine di mele avvelenate smistate nel catalogo postale. Un quarto di Dio per pettinare la mia testa pelata. Seduto sulla panchina un povero diavolo distrattamente estinto, provocatoriamente nudo, incendiato in piazza, anticonformista, antiamericano, anticapitalista, nell’inquietudine del profondo nulla. Un quarto di vino per vomitare sul tuo grembo Terra madre, un tappo di sughero Per tapparti il muco del naso. Un filtro d’amore, per il mio cuore un filtro d’amore. Ho in animo il suicidio del baco da seta, scaricherò il pallottoliere sul conto della spesa. |
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